plexr home itNUOVI TRATTAMENTI MEDICO ESTETICI AL PLASMA PER INTERVENTI NON ABLATIVI  - senza iniezioni, senza punti di sutura, senza sanguinamento.

Il Plexr è un rivoluzionario strumento nato dall’esigenza di intervenire sui tessuti cutanei senza l’intervento di bisturi e suture, per una “chirurgia non chirurgica”, con tempi di recupero brevissimi e a costo contenuto.

Questo strumento, dedicato agli Specialisti del settore, si affianca al laser, al radiobisturi, alla luce pulsata e alla radiofrequenza e utilizza il quarto stato della materia: il PLASMA. 
I tessuti “SUBLIMANO”: vengono in sostanza “vaporizzate” le macchie, le rughe, le neoformazioni e le cicatrici cutanee; senza bruciature, senza ematomi e senza incisioni, con un evidente beneficio dei tessuti circostanti.
Inoltre, non necessitando di punti di sutura, l’area trattata con il Plexer non ha bisogno di alcuna medicazione successiva l’intervento di rimozione dell’inestetismo cutaneo. Attraverso questa innovativa tecnologia possiamo offrire:
• trattamento del “codice a barre” (rughe verticali sopra le labbra)
• blefaroplastica superiore e inferiore:
senza i disagi e i rischi connessi all’intervento tradizionale, questa blefaroplastica è definita “dinamica” in quanto permette all’operatore di invitare il paziente ad aprire e chiudere gli occhi durante il trattamento, mettendo così in evidenza le aree di cute ancora da trattare; permette di ottenere un risultato perfettamente naturale, evitando l’effetto “rifatto”
• mini lifting viso
trattamento della cute rilassata di viso e collo senza fili di alcun genere, senza bisogno di anestesia e senza inserire sostanze estranee
• lifting corpo, con rimozione delle pliche cutanee
• asportazioni di neoformazioni della cute (fibromi, nevi, cheloidi, verruche, xantelasmi, discheratosi)
• trattamento dell’acne in fase attiva
• correzione di cicatrici (anche post acneiche)
• trattamento risolutivo delle discromie della pelle

 

Per i trattamenti Plexr non è necessario procedere con iniezioni anestetiche, ma è sufficiente l’applicazione di pomata anestetica 30 minuti prima del trattamento.
Al termine del trattamento si possono riprendere le normali attività.

 

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Staff Medico:
Dr.ssa Barbara Ferrari

 

verruche

L’allergia al sole o fotoallergia è una risposta del sistema immunitario verso la luce del sole.

Tale disturbo si presenta solitamente con eruzioni cutanee e prurito. Esistono differenti tipi di allergia al sole: la forma maggiormente diffusa è la dermatite polimorfa solare.

 Che cos’è l’allergia al sole?

Tra le tipologie più comuni di allergia al sole rammentiamo:

- Dermatite polimorfa solare:

per quanto riguarda la sua diffusione, questa tipologia di allergia è il secondo disturbo che interessa la pelle provocato dal sole, subito dopo le ustioni solari. Le donne sono più colpite rispetto agli uomini e i sintomi generalmente si presentano per la prima volta in giovane età. L’esposizione graduale e continuata al sole in primavera ed estate può ridurre la sensibilità alla luce solare; le conseguenze di questo processo di desensibilizzazione perdurano frequentemente per tutta la stagione estiva, ma la sintomatologia si ripropone spesso la primavera seguente.

- Dermatite  polimorfa solare ereditaria:

è contraddistinta da sintomi generalmente più acuti rispetto a quelli della forma non ereditaria della malattia e che di solito si presentano più precocemente  nell’infanzia o nell’adolescenza.

 - Dermatite fotoallergica:

un tipo di allergia al sole causata dall’effetto della luce solare tramite l’interazione con una sostanza chimica o un medicinale assunti o applicati sulla pelle.

 - Orticaria solare:

si presenta con la comparsa dell’orticaria sulle zone esposte al sole. Non comune, interessa più di frequente donne giovani.

 

Quali sono le cause dell’allergia al sole?

Le cause che originano questo problema non sono ancora completamente note; il sistema immunitario interpreta alcuni elementi della pelle modificata dal sole come “estranei", percio’ il nostro organismo attiva le sue difese immunitarie per contrastarli. In certi casi l’allergia è scatenata da fattori esterni, come ad esempio l’assunzione di determinati medicinali o l’uso di certi prodotti chimici (creme o profumi) in grado di rendere la pelle maggiormente sensibile al sole; sembra che anche alcuni specifici tratti ereditari possono intervenire nel determinare la comparsa del disturbo.

Quali sono i sintomi dell’allergia al sole?

Gli effetti visibili sulla pelle colpita da allergia al sole possono essere diversi, a seconda del disturbo che la origina. I sintomi possono mostrarsi pochi minuti dopo l’esposizione, ma in certi casi possono manifestarsi anche dopo ore. Eccone alcuni:

  • rossore
  • prurito o dolore
  • presenza di vescicole o bolle
  • presenza di pomfi

Come prevenire l’allergia al sole

  • non prolungare l’esposizione al sole ed evitare le ore più calde;
  • non sottoporsi a “bagni di sole”, ossia l’esposizione senza preparazione.In numerose persone i sintomi si manifestano proprio per il motivo che l’esposizione al sole non è avvenuta in modo progressivo;incrementare gradualmente il tempo trascorso all’aria aperta,

            invece, consente alle cellule della pelle di adattarsi;

  • indossare, quando possibile, occhiali da sole;
  • non utilizzare la protezione solare di creme che contengono filtri chimici, dato che spesso sono questi ultimi che di solito inducono la fotosensibilità.

Diagnosi

Generalmente il medico può effettuare una diagnosi di allergia al sole con una visita dermatologica. Nei casi dubbi e con frequenti recidive lo specialista dermatologo può consigliare alcuni test quali:

  • Test di fotosensibilità;
  • Photopatch test.

 

Terapia

Il trattamento può variare in base al determinato tipo di allergia al sole di cui si è affetti.

Per i casi leggeri è sufficiente non esporsi al sole per alcuni giorni e applicare localmente emollienti e in alcuni casi cortisonici a bassa potenza.

Fototerapia: con l’arrivo delle prime giornate soleggiate, il medico può consigliare un’esposizione progressiva per alcune settimane, al fine di ridurre man mano la sensibilità ai raggi ultravioletti.

In altri casi, con sintomi rilevanti, può essere necessario ricorrere a medicinali per via sistemica come antistaminici e cortisonici.

 

Articolo a cura del

Prof. Maurizio Coppini

 

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verruche

La Pityriasis versicolor è un’infezione cutanea da Malassezia furfur, un fungo che può esistere sia come lievito che come muffa (un fungo detto dimorfico).

E’ un componente normalmente innocuo della normale flora cutanea ma in alcune persone può provocare le manifestazioni cliniche di una micosi. Quelle più colpite sono normalmente in buona salute.

I fattori predisponenti comprendono il caldo, l’umidità (più frequente quindi nei mesi estivi) e l’immunosoppressione dovuta a prolungate terapie con corticosteroidi, la denutrizione, il diabete o altre patologie. L’ipopigmentazione (chiazze bianche) della tinea versicolor è dovuta all’inibizione della tirosinasi causata dalla produzione di acido azelaico da parte della M.furfur.

 

Sintomatologia

La tinea versicolor è normalmente asintomatica. Classicamente provoca la comparsa di molteplici lesioni desquamate scure, marroni, color salmone, rosa o macchie bianche desquamanti localizzate sul tronco, collo, addome e più raramente sul viso. Le lesioni possono confluire.

Nei pazienti di pelle chiara la malattia viene spesso diagnosticata nei mesi estivi in quanto le lesioni non si scuriscono e diventano più evidenti rispetto alla cute abbronzata. La tinea versicolor  non è particolarmente contagiosa.

 

Diagnosi

La diagnosi di tinea versicolor si basa sull’aspetto clinico e nei casi dubbi sull’identificazione da parte del dermatologo delle ife e delle cellule germoglianti nei preparati a fresco trattati con idrossido di potassio su campioni prelevati con scarificazione cutanea. L’esame con la lampada (luce) di Wood evidenzia una fluorescenza dorata chiara.

 

Trattamento

Il trattamento della tinea versicolor si basa sull’impiego di farmaci antimicotici topici.

Tra questi, se si tratta di forme non particolarmente estese, sono molto efficaci gli azolici topici (ketoconazolo, miconazolo, econazolo, per citarne solo alcuni tra quelli reperibili nelle farmacie e parafarmacie). Meglio utilizzarli una o due volte al giorno mediamente per non meno di tre settimane.

Nei pazienti con malattia estesa e in caso di recidive frequenti, è consigliabile associare un antimicotico per via orale (itraconazolo e fluconazolo, tra quelli efficaci).

L’ipopigmentazione da tinea versicolor è reversibile in alcuni mesi. La recidiva è frequente dopo il trattamento anche a distanza di mesi o anni. Un’igiene accurata nonché le indicazioni e i consigli dati dal medico di famiglia o dal dermatologo possono ridurre il rischio di recidive.

 

 

Articolo a cura del

Prof. Maurizio Coppini

 

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tignadelcuoiocapellutoL’estate si avvicina e, se tutti seguiranno le opportune cautele legate alla pandemia da Covid 19, potremo finalmente goderci, per chi lo ama, qualche giorno di vacanza al mare.

Tutti ovviamente vorrebbero abbronzarsi più velocemente senza rischiare spiacevoli scottature o fastidiosi eritemi solari e naturalmente, chi non desidera mantenere a lungo il colorito?

 

Prima di cominciare...esfoliare, detergere e idratare!
Durante la stagione invernale la pelle è rimasta a lungo coperta ed è stata “stressata” dal freddo e, soprattutto se si vive in città,dai fattori inquinanti. Per prepararla al sole, la prima buona abitudine è dunque quella di rimuovere le impurità e favorire il turnover cellulare con un’esfoliazione. Per la pelle del viso, sicuramente più delicata e più esposta ai fattori esterni, è consigliabile un esfoliante specifico, più leggero. Per il corpo invece si può optare per uno scrub, scegliendo di applicarlo sulla pelle asciutta per un’azione più intensa o sulla pelle bagnata se si vuole intervenire più dolcemente. Esfoliata e detersa, l’epidermide necessita a questo punto di tanta idratazione e “nutrimento” per arrivare ben preparata all’incontro con il sole.

 

Integratori e alimentazione: l’aiuto in più
Anche l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale: ci sono infatti cibi in grado di stimolare la sintesi della melanina e preparare la pelle all’abbronzatura. Sono gli alimenti ricchi di carotene, come carote, pomodori, albicocche, melone e verdure a foglia verde. Esistono anche integratori alimentari mirati, notoriamente non sostitutivi ovviamente di una corretta alimentazione, da assumere qualche settimana prima e durante l’esposizione solare, per cercare di garantirsi (non sempre in realtà con successo!) una abbronzatura più intensa e duratura.

 

Esposizione graduale e prodotti giusti
L’esposizione dovrà essere graduale, in particolare se si ha una carnagione chiara. E' inoltre importante avere sempre a disposizione una protezione solare e un doposole.

Ci sono anche prodotti studiati appositamente per preparare la pelle al sole e intensificare l’abbronzatura, grazie a ingredienti che favoriscono la produzione di melanina: dei veri acceleratori d’abbronzatura (assolutamente controindicati in età pediatrica e da utilizzare negli adulti che lo desiderano solo dopo avere fatto una “mappatura” dei nei dallo specialista). Con dei semplici accorgimenti, la pelle arriverà pronta all’appuntamento con il sole.

Naturalmente non va mai dimenticato di proteggersi sempre con il giusto fattore solare e, come abbiamo già detto, a fine giornata di idratare e nutrire l’epidermide con un adeguato doposole.

Nei bambini questi consigli (fotoprotezione in particolare) vanno osservati in modo scrupoloso essendo maggiormente a rischio, se non protetti, di andare incontro a danni da ultravioletti, come i noti e fastidiosi eritemi solari che possono causare eritema diffuso, prurito, bruciore e talvolta anche febbre.
Un’ultima considerazione da non scordare è quella di non esporsi al sole se si stanno assumendo farmaci considerati fotosensibili (il medico di famiglia o lo specialista vi potranno consigliare) e in particolare non vanno mai applicati sulla pelle, prima dell’esposizione, cosmetici o profumi che possono causare delle fotodermatiti fastidiose e spiacevoli anche da un punto di vista estetico.

 

Articolo a cura del

Prof. Maurizio Coppini

 

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verruche

La pandemia da COVID-19 ha portato molti cambiamenti nella vita delle persone, incluso , L’indossare quotidianamente una mascherina protettiva quando ci si trova in luoghi pubblici, soprattutto se il distanziamento sociale non è garantito. Quest’abitudine è d’indubbia utilità per aiutare a rallentare e prevenire la diffusione del virus, in associazione alle altre misure di sicurezza utili come la corretta igiene delle mani ed il già menzionato distanziamento sociale.
Recentemente è stato osservato che indossare le mascherine protettive nei confronti del nuovo Coronavirus potrebbe causare o esacerbare l’acne e altre problematiche della pelle. Si parla di Maskne, termine derivante dalla coniugazione dei termini Mask+Acne, ossia Acne da Mascherina.

Cosa si intende per Maskne?
E’ un termine coniato per indicare il verificarsi o l’aggravamento di una serie di problematiche della pelle in associazione all’utilizzo delle mascherine protettive.
In particolare è stata riscontrata la comparsa di rossore, prurito nelle zone coperte dal dispositivo e nelle persone predisposte,l’esacerbarsi di eruzioni acneiche. Per quanto riguarda le pelli reattive e sensibili, nei punti del viso dove è appoggiata la mascherina, invece, sono possibili irritazioni, rash cutanei e abrasioni di minima entità. La Maskne si localizza soprattutto su guance, mento, contorno labbra e naso.

Sintomi della Maskne
La Maskne si manifesta, in genere, dopo avere indossato per pochi giorni, in modo sufficientemente continuativo, la mascherina protettiva. L’acne da mascherina vera e propria comporta un peggioramento del disturbo: nelle zone del viso dove è appoggiata, si potrebbero notare irritazioni con prurito, punti neri, piccole cisti o arrossamenti lungo il contorno della mascherina sul viso o intorno alla bocca.
Va inoltre segnalato che nei soggetti predisposti, portare le mascherine (per quanto come già detto indispensabili) può comportare o favorire la comparsa di altre problematiche dermatologiche,come:
- Dermatite allergica da contatto;
- Dermatite irritativa da contatto sui punti di pressione ,come naso e orecchie;
- Dermatite seborroica;
- Rosacea;
Uno studio pubblicato sul Journal of American Academy of Dermatology ha evidenziato che coloro che usano per più di otto ore al giorno la mascherina, come nel caso degli operatori sanitari ma anche di altre categorie di lavoratori, manifestano comunemente:
- Gonfiore e dolore;
- Prurito;
- Pelle secca;
- Eritema;
- Desquamazione;
- Papule(foruncoli). Quali sono le cause della Maskne?
L’irritazione cutanea causata dalle mascherine è innescata da una serie di fattori che comprendono; - Attrito costante della mascherina contro il viso;
- Umidità che deriva dagli atti respiratori;
- Crescita eccessiva,come conseguenza,di batteri e/o lieviti.
In pratica il dispositivo di protezione copre buona parte del viso, impedendo alla pelle di “respirare” e sfregando nelle zone di contatto. L’occlusione permette al sebo di accumularsi e questo favorisce la comparsa della cosidetta acne da mascherina. Inoltre quando si parla e si respira con una mascherina posizionata sul viso, una buona quantità di umidità si accumula tra la bocca e gli strati protettivi del dispositivo. Il calore e l’umidità concentrati intorno alla bocca possono alterare il ph della pelle e rendere più inclini a tre problemi principali:
- Follicolite: infiammazione dei follicoli piliferi;
- Cheilite angolare: si presenta con persistenti labbra screpolate e commessure labiali secche ;
- Dermatite periorale: si presenta come un’eruzione eritematosa intorno alla bocca, accompagnata talvolta da papule, microcisti e pelle secca.
In conclusione si può dire che prevenire o curare la Maskne e gli altri problemi dermatologici sopra citati è possibile; basta seguire degli accorgimenti per la cura della pelle del viso, da attuare prima e dopo avere indossato la mascherina. Consultandosi se necessario con il farmacista, il medico di famiglia e in caso di disturbi rilevanti,con il dermatologo.

 

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Prof. Maurizio Coppini

 

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verruche

L’orticaria è una manifestazione cutanea frequente (0.5-1% della popolazione adulta), caratterizzata da pomfi pruriginosi associati o meno ad angioedema più o meno generalizzato (gonfiore) e con forte impatto sulla qualità della vita dei pazienti.
L’orticaria acuta ha una durata inferiore a 6 settimane, mentre l’orticaria cronica ha durata maggiore di 6 settimane.
La forma più difficile da diagnosticare e da trattare è l’orticaria cronica spontanea (CSU) a sua volta divisa in due entità 1) autoimmune (ovvero causata dall’attivazione della degranulazione dei mastociti tissutali e/o dei basofili circolanti da parte di autoanticorpi IgG e 2) da cause sconosciute.
La diagnosi di CSU consiste nell’esclusione delle cause conosciute in base ad anamnesi, esame obiettivo, test allergologici, esami ematochimici e test di provocazione cutanea.
Per la diagnosi di CSU autoimmune e dunque la dimostrazione della presenza di autoanticorpi, sono necessari test specifici che lo specialista dermatologo saprà consigliare.

 

Terapia dell’orticaria cronica
Le linee guida per il trattamento dell’orticaria cronica, sempre molto fastidiosa per il paziente per il prurito spesso rilevante e la comparsa di edema (gonfiore) in varie parte del corpo e in particolare frequentemente anche del viso, raccomandano l’utilizzo degli antistaminici definiti H1 a minore effetto sedativo e a dosaggio standard, come terapia di prima linea. Nei pazienti che dopo due settimane di trattamento antistaminico non rispondono adeguatamente alle dosi standard, il dosaggio dovrebbe essere aumentato fino a un massimo di quattro volte; nonostante ciò, nella pratica clinica raramente si arriva a tali dosaggi, a causa degli importanti effetti collaterali che influenzano negativamente la qualità della vita del paziente.
In caso di mancata risposta agli antistaminici ad alto dosaggio, si può aggiungere un farmaco di prescrizione specialistica, il Montelukast.
I corticosteroidi sono indicati solo in caso di accese riacutizzazioni e preferibilmente per un periodo massimo di 10 giorni, a causa di potenziali effetti avversi associati al trattamento a lungo termine (diabete mellito, ipertensione, osteoporosi, aumento di peso).
Se infine i sintomi si ripresentano subito dopo lo scalare del dosaggio del corticosteroide orale e se per essere controllati richiedono una somministrazione continua, come opzione successiva dovrebbe essere considerato il farmaco biologico Omalizumab, che da alcuni mesi può essere somministrato anche in Italia e che costituisce una possibilità terapeutica senza gravi effetti collaterali e di comprovata efficacia. Prescrivibile solo a livello ospedaliero.

 

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Prof. Maurizio Coppini

 

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tignadelcuoiocapellutoIl piede d’atleta (o Tinea Pedis) è una micosi causata da funghi dermatofiti (Trichophyton o anche da altri tipi di funghi) che si localizzano inizialmente tra le dita dei piedi.

 

Epidemiologia

E’ frequente soprattutto d’estate, quando il caldo favorisce la macerazione della pelle, rendendola indifesa dagli attacchi. Il contagio avviene per contatto con il terreno (tipicamente in piscina o in luoghi umidi), utilizzando calzature o ciabatte usate da altri oppure in soggetti che usano scarpe di gomma o impermeabili (ad esempio anche scarpe, per quanto obbligatorie, anti infortunistiche) e in quelle persone che presentano iperidrosi plantare.

 

Eziologia

Come già detto, a causare la Tinea Pedis sono miceti. i quali si sviluppano in ambienti umidi; si possono contrarre in luoghi pubblici come piscine e spogliatoi, o in certe categorie di lavoratori che fanno uso di particolari tipi di scarpe. Naturalmente la stagione estiva rappresenta il periodo di maggiore accentuazione di questa fastidiosa patologia.

 

Clinica

L’infezione causa alcuni disturbi (inizialmente può essere asintomatica) e difficoltà a calzare le scarpe e può estendersi alle unghie, che appaiono talvolta ispessite. Spesso può essere colpito solo un piede. Esistono tre forme:

  • intertriginosa: si sviluppa una macerazione interdigitale pruriginosa con possibile sovra infezione da batteri Gram risultando in tal caso spesso maleodorante.
  • ipercheratosica: a “mocassino”,con eritema, ipercheratosi e desquamazione.
  • infiammatoria o disidrosiforme: si osservano lesioni vescicolose o bollose della regione mediale della pianta del piede.

 

Si ricorda tra l’altro che:

  • il paziente ha prurito, o sensazione di bruciore o di tensione tra le dita della pianta del piede;
  • la cute tra il terzo e il quarto spazio fra le dita del piede incomincia ad arrossarsi, a desquamarsi e a fessurarsi e diventa umida;
  • in genere la pelle desquamata può apparire rossa brillante a causa dell’infiammazione;
  • possono comparire piccole vescicole ed inoltre abrasioni con essudato purulento e piccole ragadi.

 

Prevenzione e trattamento

La prevenzione è fondamentale: è bene tenere i piedi freschi e asciutti e non camminare senza scarpe, nemmeno in casa.

Si raccomandano quindi scarpe che permettano la traspirazione (a parte quelle categorie di lavoratori che per legge devono utilizzare particolari tipi di scarpe), calze di cotone (che possono essere lavate ad alte temperature per eliminare batteri e funghi) e l’uso di ciabatte e di asciugamani personali in piscina, spogliatoi.

E’ inoltre importante asciugare sempre bene i piedi, soprattutto negli spazi interdigitali.

Si tratta di una infezione che non può guarire da sola. Il più delle volte, comunque, è sufficiente un prodotto reperibile in farmacia.

La terapia prevede l’uso di creme antifungine, ma più efficace è un intervento sistemico che porta alla guarigione nella maggior parte dei casi con un trattamento medio di tre settimane. La terapia sistemica evita il prolungamento delle cure necessarie con i rimedi topici. E’ consigliabile proseguire con il trattamento ancora per almeno una settimana dopo la scomparsa delle lesioni e dei sintomi.

 

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Prof. Maurizio Coppini

 

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verruche

La vitiligine è una malattia dermatologica che coinvolge la pigmentazione cutanea, causata dalla mancanza di melanina, che colpisce circa 100 milioni di persone al mondo, con predominanza dei casi nel sesso femminile.

 

COME RICONOSCERLA

Dal punto di vista clinico è possibile riconoscere la vitiligine facilmente, perché si osservano delle macchie bianche sulla superficie corporea. Nel 50% dei casi circa la vitiligine si sviluppa prima dei 20 anni d’età, però, nei giovani che ne soffrono fin dall’infanzia, la superficie corporea colpita è meno del 10%.

 

CLINICA

Esistono due varianti di vitiligine: la vitiligine bilaterale o simmetrica, in cui possiamo notare che i distretti corporei sono coinvolti in maniera speculare. I segni sono riscontrabili principalmente sul dorso delle mani e dei piedi, viso, gomiti, ginocchia. La vitiligine segmentale, che colpisce solo un emisoma, cioè una delle due metà del corpo.

Importante sottolineare che più la pelle è pigmentata, più la vitiligine è evidente: in un soggetto di razza scura e in uno di razza caucasica, ovviamente, la malattia ha un impatto diverso. Facile accorgersi della vitiligine soprattutto in estate quando ci si espone al sole, dal momento che appare più evidente il contrasto tra la pelle sana e le chiazze bianche sulla superficie cutanea.

 

CAUSE

Sebbene la patogenesi della vitiligine sia ancora oggetto di discussione, ormai si pensa che vi sia una predisposizione genetica, confermata dal fatto che ci sono famiglie intere che presentano questo disturbo. Attualmente si ritiene prevalentemente che la vitiligine sia una malattia autoimmune, in quanto nel 20-30% dei casi si segnala la presenza concomitante di altre malattie autoimmuni quali:

- malattie della tiroide;

- anemia perniciosa;

- malattia di Addison;

- diabete mellito;

- miastenia;

- alopecia areata, ecc.

Per questo motivo, in presenza di vitiligine, è necessario compiere ulteriori indagini per escludere l’associazione con altre patologie.

 

TERAPIA

Vi sono attualmente a disposizione dei trattamenti che non portano spesso alla guarigione completa della malattia, ma assicurano dei miglioramenti significativi. La terapia varia a seconda dell’estensione della malattia e in base all’età del paziente.

Se le lesioni sono limitate a un piccolo distretto corporeo si preferiscono terapie locali che prevedono principalmente l’utilizzo di: cortisone, derivati della vitamina D, tacrolimus, pimecrolimus.

Quando la vitiligine è più estesa, invece, si può ricorrere dai 12 anni d’età in su alla microfototerapia, basata sull’utilizzo di raggi ultravioletti UVB che colpiscono le zone coinvolte dalla vitiligine, con buoni risultati.

 

SOLE E VITILIGINE

Appare importante ricordare che dove è presente una chiazza bianca, mancano i melanociti, pertanto è possibile ustionarsi con maggiore facilità. Tuttavia, nelle zone foto esposte si può osservare una ripigmentazione spontanea della vitiligine nel 20% dei casi, favorita dall’esposizione solare. Il consiglio per i pazienti affetti da vitiligine è di esporsi protetti evitando gli orari meno indicati.

 

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Prof. Maurizio Coppini

 

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disidrosi

 Generalità

 

La disidrosi, nota anche come eczema disidrosico, è una malattia infiammatoria della pelle. Spesso associata alla dermatite atopica o ad allergie primaverili, insorge per motivi non sempre del tutto chiari.

 

Cos’è la disidrosi?

 

È una malattia caratterizzata dalla comparsa di piccole vesciche sul palmo delle mani, ai lati delle dita e, talvolta, sulla pianta dei piedi. La disidrosi può insorgere in modo acuto, improvviso e sporadico, oppure cronico; in quest’ultimo caso ricorre periodicamente, prevalentemente in particolari stagioni dell’anno (primavera, estate) o dopo il contatto con sostanze irritanti.

 

Epidemiologia

 

La disidrosi ha un’incidenza ignota in quanto, comparendo talvolta in associazione ad altri disturbi della pelle, viene molto spesso sottodiagnosticata. Secondo alcune ricerche, sembra avere, come abbiamo già detto, un andamento stagionale e una predilezione per le persone tra i 30 e i 40 anni.

 

Cause

 

Le cause precise della disidrosi sono sconosciute anche se la sua insorgenza è favorita, oltre che dalla stagionalità, anche da altri fattori come lo stress e il contatto con sostanze irritanti.

 

Stress

 

È stato osservato che le persone con eczema disidrosico ricorrente/cronico sono più soggette a nuovi episodi di disidrosi nei momenti di maggiore stress.

Contatto con sostanze irritanti

Alcune persone hanno una pelle estremamente sensibile e a contatto con sostanze irritanti (cromo, cobalto, nichel) possono sviluppare le classiche vesciche della disidrosi. Non scordiamo inoltre l’uso, come fattore di rischio, di certi tipi di scarpe antinfortunistiche non sempre tollerate da tutti i lavoratori che per legge devono in ogni caso indossarle.

 

Eczema atopico

 

Pazienti affetti da eczema atopico sono maggiormente predisposti, in alcuni casi, ad andare incontro ad episodi di disidrosi.

 

Sintomi

 

Le piccole vesciche (1-2 mm di diametro) dell’eczema disidrosico sono piene di liquido di norma sieroso (trasparente) e a stretto contatto tra loro. Possono causare prurito e/o dolore e impiegano dalle tre alle quattro settimane per seccarsi spontaneamente, se non trattate. Successivamente si può osservare, ancora per qualche giorno, una pelle arrossata e maggiormente sensibile. Non sempre, in tutti i pazienti, sono contemporaneamente interessate sia le mani che i piedi.

 

Terapia

 

La scelta terapeutica più adeguata dipende dalla gravità dei sintomi. In genere si ricorre all’utilizzo di farmaci corticosteroidi per uso topico o sistemici (prednisone) se il quadro clinico si presenta in forma particolarmente acuta (prurito intenso e/o dolore, edema).

 

Prevenzione

 

Quando le cause reali di una malattia non sono del tutto note, come nel caso dell’eczema disidrosico, è difficile fare e proporre al paziente un’adeguata prevenzione. Importante in ogni caso evitare, se e quando possibile, il contatto con sostanze irritanti e valutare il rapporto tra l’insorgenza del disturbo e le eventuali situazioni di stress.

 

 

Articolo a cura del

Prof. Maurizio Coppini

 

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disidrosi

Introduzione

L’erisipela è un processo infettivo acuto, causato tipicamente dallo Streptococco B emolitico del gruppo A e talvolta anche da altri batteri, che interessa il derma e le ghiandole linfatiche.

L’infezione si manifesta con una lesione cutanea sotto forma di chiazza arrossata, leggermente rilevata, dolente alla palpazione, di norma associata a febbre alta. La prognosi è tanto migliore quanto tanto più tempestivamente viene intrapresa la necessaria terapia antibiotica.

 

Fattori di rischio

I batteri sopracitati possono penetrare nella cute in presenza di ferite, traumi, punture di insetti o altre infezioni che possono causare macerazione tra le dita dei piedi (specialmente quelle fungine), tutte condizioni che creano una “porta d’entrata” per i microrganismi nello strato del derma.

La cattiva circolazione della linfa nei vasi linfatici e alcune procedure chirurgiche (ad esempio l’asportazione della vena safena, safenectomia, in casi di grave insufficienza venosa) rappresentano fattori predisponenti all’insorgenza di erisipela degli arti inferiori; anche il diabete può talvolta essere un fattore favorente l’infezione.

 

Sintomi

Il periodo di incubazione dell’erisipela è di circa 48 ore, dopo le quali l’infezione esordisce improvvisamente con febbre elevata (39-40° C), brividi, malessere generale. Sulla cute, nella sede di una precedente ferita o anche di un piccolo trauma passato inosservato, compare una lesione tipicamente monolaterale e singola, sotto forma di chiazza intensamente arrossata, leggermente rilevata sui margini periferici (il rilievo costituisce il “segno dello scalino”), a superficie liscia e lucida, con bordi netti. L’infezione può verificarsi su diverse parti del corpo, tra cui viso, braccia, gambe, dita delle mani e dei piedi, anche se tendenzialmente gli arti rappresentano i bersagli più frequentemente interessati. Talvolta sulla chiazza sono presenti bolle a contenuto ematico (erisipela bollosa) oppure il tessuto va incontro a necrosi (erisipela gangrenosa). Quest’ultima evoluzione si verifica soprattutto in persone con ridotte difese immunitarie. Non va scordato che l’erisipela causa dolore e si associa frequentemente ad ingrossamento transitorio dei linfonodi loco-regionali.

 

Diagnosi

La diagnosi è semplice nella maggior parte dei pazienti e si basa sull’esame clinico, ovvero sulla valutazione delle manifestazioni cutanee e dei sintomi. Gli esami di laboratorio evidenziano una condizione di infiammazione.

 

Complicazioni

La prognosi è buona e le complicazioni sono rare se viene prontamente intrapresa la corretta terapia antibiotica. La prognosi è peggiore quando l’infezione non trattata si estende ai tessuti più profondi, arrivando talvolta alla fascia muscolare sottocutanea e determinando necrosi dei tessuti (fascite necrotizzante).

 

Terapia

 La terapia consiste nell’assunzione di antibiotici per via sistemica della classe dei B-lattamici (penicilline, cefalosporine) o dei macrolidi (eritromicina e suoi derivati); se necessario possono essere associati antinfiammatori/antidolorifici per il trattamento sintomatico dei sintomi associati (dolore, febbre,...). Mentre i sintomi sistemici si risolvono normalmente in pochi giorni, la pelle richiede spesso anche alcune settimane per tornare alla normalità.

 

 

Articolo a cura del

Prof. Maurizio Coppini

 

Disponibile per appuntamento:

mercoledì pomeriggio

 

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